OPERE
LE FIGURE DI UBALDO URBANO
di Dino Menichini
Sulle figure di Ubaldo Urbano sono già state scritte diverse pagine, pur tuttavia non ci sembra inutile rilevare, ancora una volta, come proprio questo tema rappresenti tuttora, per il solitario artista foggiano, l'esperienza sensitiva primaria e, nello stesso tempo, come tale esperienza si purifichi e si decanti, di stagione in stagione, attraverso il duplice filtro della memoria (di occasioni e di passioni) ma soprattutto la tecnica del mestiere, meglio inteso come stile.
Le sue figure si riproducono costantemente, in una visione limpidissima che rilancia sulla scena, l'ultima eco di un umanesimo che non è ancora abbastanza persuaso di dover sottoscrivere le proprie dimissioni di fronte alla crescita smisurata della continua scoperta di oggetti più disparati (invenzione della scienza o della tecnica).
Di qui dunque, la coraggiosa sincerità con cui Urbano istituisce un preciso ed essenziale rapporto dialogico con le persone, (si notino in modo particolare queste figure, dell'artista, sia quelle recenti che quelle del passato atte a rianimare il presente e viceversa, in una storia quotidiana segreta fino ai limiti dell'inconscio).
Siamo davanti ad una sorta di aperta "confessione" che a ben vedere si arricchisce di sequenza in sequenza, di una congerie pressante di figure e di immagini, che si oggettivano davanti a noi e ci coinvolgono. Questi personaggi a volte assorti a volte quasi rapiti, ciascuno preso dai propri pensieri esprimono il lato più umano delle cose o degli avvenimenti. Coerenza e continuità dunque in questa pittura, che caratterizza la stimolante e sperimentata ricerca espressiva dell'artista, che nel grumo serrato e sensuale delle immagini, dimostra di possedere intatta una capacità sempre nuova e imprevedibile di trasfigurazione.
In catalogo mostra personale di Ubaldo Urbano alla Galleria d'Arte Moderna Quadrifoglio 7, Foggia, maggio 1973.
di Dino Menichini
Sulle figure di Ubaldo Urbano sono già state scritte diverse pagine, pur tuttavia non ci sembra inutile rilevare, ancora una volta, come proprio questo tema rappresenti tuttora, per il solitario artista foggiano, l'esperienza sensitiva primaria e, nello stesso tempo, come tale esperienza si purifichi e si decanti, di stagione in stagione, attraverso il duplice filtro della memoria (di occasioni e di passioni) ma soprattutto la tecnica del mestiere, meglio inteso come stile.
Le sue figure si riproducono costantemente, in una visione limpidissima che rilancia sulla scena, l'ultima eco di un umanesimo che non è ancora abbastanza persuaso di dover sottoscrivere le proprie dimissioni di fronte alla crescita smisurata della continua scoperta di oggetti più disparati (invenzione della scienza o della tecnica).
Di qui dunque, la coraggiosa sincerità con cui Urbano istituisce un preciso ed essenziale rapporto dialogico con le persone, (si notino in modo particolare queste figure, dell'artista, sia quelle recenti che quelle del passato atte a rianimare il presente e viceversa, in una storia quotidiana segreta fino ai limiti dell'inconscio).
Siamo davanti ad una sorta di aperta "confessione" che a ben vedere si arricchisce di sequenza in sequenza, di una congerie pressante di figure e di immagini, che si oggettivano davanti a noi e ci coinvolgono. Questi personaggi a volte assorti a volte quasi rapiti, ciascuno preso dai propri pensieri esprimono il lato più umano delle cose o degli avvenimenti. Coerenza e continuità dunque in questa pittura, che caratterizza la stimolante e sperimentata ricerca espressiva dell'artista, che nel grumo serrato e sensuale delle immagini, dimostra di possedere intatta una capacità sempre nuova e imprevedibile di trasfigurazione.
In catalogo mostra personale di Ubaldo Urbano alla Galleria d'Arte Moderna Quadrifoglio 7, Foggia, maggio 1973.