OPERE
BIOGRAFIA
Che Ubaldo Urbano (nato a Foggia il 1941) avrebbe percorso un itinerario artistico coerente con la grande tradizione figurativa italiana - senza per questo evadere dalle tensioni della propria epoca - apparve chiaro fin dagli esordi, nel 1962, quando, dopo aver abbandonato gli studi di violoncello al Conservatorio (ma la musica lo accompagnerà sempre, anche in pittura, sia pure nel simbolismo degli strumenti), si dedicò completamente alla pittura.
Quell' anno, spinto dagli amici, che vincono quella naturale timidezza o meglio pudore che continuerà a caratterizzarlo anche in avanti, tiene la sua prima mostra personale nella città natale.
Con lavori, sottolineò Salvatore Ciccone, mentore di quasi tutti i più interessanti artisti foggiani, "conclusi per sintesi, movimento, pennellata e stilizzazione" e ricchi di penetrazione psicologica, che "tracciano una piccola ma sobria cronaca da inserire nella mai tracciata storia sociale del Mezzogiorno d'Italia". Il successo consacra la validità della sua scelta, ma, come spesso accade, gli fa tenere, come direbbe Ibsen, severo giudizio di se stesso.
Passeranno infatti alcuni anni prima che si ripresenti ai suoi estimatori con un'altra personale. È il 1967. Prima però, nel 1965, ottiene un lusinghiero successo a Napoli, alla Galleria Vanvitelli, invitato alla rassegna "Il nudo nell'Arte", e nel 1966, dopo aver conseguito, sempre a Napoli, l'abilitazione all'insegnamento di pittura e storia dell'arte, inizia la sua attività di docente di disegno dal vero presso l'Istituto Statale d'arte di Foggia. Con la mostra del 1967, presentata dal sottoscritto, Urbano riconferma le tematiche precedenti (Donna del Sud, Bambino meridionale, Contadini, Nudo femminile, ecc.) caricandole però di maggiore drammaticità.
Si disancora dall'ironia dei suoi primi lavori e aderisce maggiormente alla realtà, marcando il segno e arricchendo la sua tavolozza di toni coloristici più caldi e contrastati. È, se vogliamo, la sua personale lettura dei temi del sottosviluppo, dello smascheramento della "menzogna folclorica", dei meccanismi di esclusione/emarginazione della società meridionale che di lì a poco - siamo a ridosso del 1968 - avrebbero portato, anche nel Mezzogiorno, a istanze di maggiore libertà e partecipazione (e anche di ribellismo, come a Reggio Calabria). Nel 1969 espone a Foggia, nella mitica Taverna del Gufo, e a Rodi Garganico. Nel 1971 a S. Benedetto del Tronto. L'esperienza figurativa di Urbano persiste, pur nel radicale imperio, in quegli anni, dell'arte aniconica. Ma già alle tematiche sociali, alla sapiente disposizione delle masse di colore, alla pastosità e plasticità del figurato si accompagnano in misura preponderante l'approfondimento psicologico delle figure femminili e quell'atmosfera di sogno e di raccolta espressione, di erotismo che caratterizzeranno in parte l'esperienza pittorica di Urbano per gli anni successivi. Dico in parte perché, da questo momento in poi, comincia anche l'approccio di Urbano alla "natura morta", assunta sulla tela con una forte carica simbolica che più tardi piacerà a Raffaele De Grada.
Inizia quindi a sperimentare l'interazione, sullo stesso piano, di figure, natura morta e, infine, paesaggio. È una fase in cui appare evidente la predilezione della lezione figurativa del Quattrocento italiano (penso per esempio a Giovanni Bellini), ma Urbano la rivisita con l'evidente scopo di destrutturare l'unità stilistico-narrativa del quadro. Se infatti ricorre spesso a una impaginazione delle figure che oggi chiameremmo, con un linguaggio preso a prestito dal cinema, "piano ameriano", tuttavia non c'è nessuna indulgenza prospettica, e la relazione tra gli oggetti rappresentati è tessuta da campiture geometriche di colore interrotte solo dalla sinuosità dei nudi femminili. Negli anni successivi affina questa impostazione. Presenta i suoi lavori a Udine (1973), Pescara (1974), Milano (1976, Galleria del Naviglio). Nel 1976 espone a Vico Equense. Nel 1977 di nuovo a Foggia con una impegnativa personale al Palazzetto dell'Arte. Il catalogo reca contributi critici di Antonio Miccoli, che evidenzia "l'entroterra pittorico di Ubaldo Urbano .la suggestione per la linea classica quattrocentesca dei volti delle sue figure, tutte femminili"; di Dino Menichini "coerenza e continuità dunque in questa pittura, che caratterizza la stimolante e sperimentata ricerca espressiva dell'artista, che nel grumo serrato e sensuale delle immagini dimostra di possedere intatta una capacità sempre nuova e imprevedibile di trasfigurazione"; di Carmelo Bonifacio Malandrino: "donne che volgono allo spettatore lo sguardo distaccato e disincantato, come per una vissuta delusione, sono riscattate da Urbano nella luce della loro bellezza". Lo stesso Bonifacio dedicherà alla pittura di Urbano una intensa lirica: "Lungo antiche peregrinazioni/ si sfaldano i sentieri/ assordano le cicale. Pure/ tu contempli le estatiche rassegnazioni di giovani donne/ che assaporano l'ansia/ di offerta nell'abbandono dei corpi.". Donne, dunque.
A Davide Grittani che gli chiede in un'intervista perché in ogni suo dipinto predominasse il volto di una donna, Urbano risponde che il suo non è un soffermarsi alla donna, "ma un estendersi all'umanità intera, al genere umano". "Solo così - dice - esprimo l'arte come a me appare. Donna, per l'appunto. Sono i volti umani che dicono le cose che io so".
Urbano ha conosciuto Carmelo Bonifacio a Vico Equense, nel 1976. Ma la stessa mostra viene visitata da Michele Prisco, col quale l'artista foggiano intessa una intesa artistica che porterà lo scrittore napoletano, nel 1989 a firmare il catalogo della nuova personale di Urbano al Palazzetto dell'arte di Foggia. L'arco di un decennio tra l'incontro con Prisco e la personale a Foggia è comunque contrappuntato da altre significative esperienze: Spoleto (1979, collettiva nell'ambito del Festival dei Due Mondi); Bari (Expo Arte, 1981; 1989); Foggia (Palazzetto dell'Arte, 1983). Prisco trova le "donne" e i paesaggi di Urbano emblematici di una certa idea del Sud. Coglie l'ideale collegamento della pittura di Urbano, attraverso la classica compostezza delle figure, alla forza delle radici antropologiche, alla "grecità" del vissuto meridionale. Ma Prisco trova anche che "nonostante la sua affabulatoria leggibilità", quella di Urbano è "una pittura singolarmente misteriosa e carica di suggestioni sino al turbamento". Quella del 1989 è la mostra della piena maturità di Urbano.
C'è un'accensione cromatica, nei suoi lavori, bilanciata dal ritmo controllato delle forme, nudi o oggetti minimali che siano o anche brani d'archeologia. Le atmosfere sono quasi sospese, in una sorta di paesaggio metafisico e che ammicca, così carico com'è di significati simbolici, con l'iterazione quasi ossessiva del mezzobusto muliebre che fa capolino - quasi fuoriscena - in molte rappresentazioni, per osservare, interrogare, invitare il fruitore. Nel '90 è a Bologna, alla Galleria del Quartirolo. Nello stesso anno comincia la sua avventura internazionale, con mostre a Chameliers, New York, Osaka. Nel 1991, altra mostra importante. È quella che gli ha dato più emozioni, come dirà a Grittani nella stessa intervista.
La mostra, un'antologica con oltre cinquanta dipinti, si tiene a Roma, su invito della Famiglia dauna, a Palazzo Barberini. Il catalogo è firmato da Giuseppe De Matteis, che si sofferma anch'egli sulla dominante della pittura di Urbano: la figura femminile. Una figura femminile che il critico vede ricca di "dati singolarmente misteriosi e carichi di suggestione" ed esplicitata da una pittura dove "i colori appaiono più distesi, più disciplinati, più docili". Una pittura, dirà nello stesso periodo Vito Cracas, che si rivela densa di contenuti, con "un linguaggio simbolico di solida impostazione. esemplare nel segno e perfettamente equilibrato anche nella terminologia cromatica". Nel 1992 espone a New York, Budapest e Siviglia (Expo Internazionale). E a Bruxelles, dove fa parte della ristretta schiera di artisti invitati ad illustrare le "emozioni" di Puglia. Seguono alcuni anni di silenzio operoso ("non intendo inflazionare la mia immagine").
Il 1996 torna alla grande. All'Expo Arte di Bari i suoi quadri vengono apprezzati da Vittorio Sgarbi, che l'anno dopo lo gratificherà di un intervento critico nel quale lo studioso chiarisce fino in fondo il senso e il fondamento della pittura di Ubaldo Urbano: "Proviene da una salda coscienza della figurazione italiana di questo secolo, una coscienza che risale senza esitazioni all'esempio di Felice Casorati, alla temperie di Valori Plastici, a tutte quelle esperienze di primo Novecento che hanno cercato di coniugare il concetto di classicismo con quello di modernità".
Nel 2002 la Provincia di Foggia gli organizza una grande retrospettiva per i suoi quarant'anni di attività con catalogo firmato da Gaetano Cristino. Altra importante retrospettiva gli viene organizzata alcuni anni dopo dalla Fondazione Banca del Monte di Foggia, con catalogo prefato da Livia Semerari. Nel 2010 espone a Seattle (USA) e l'anno successivo viene invitato alla Biennale di Venezia, 54° Esposizione internazionale d'arte, Padiglione Italia.
Il resto, è storia da farsi, nella compiuta consapevolezza dell'artista foggiano della validità del proprio lavoro.
a cura di Gaetano Cristino
Che Ubaldo Urbano (nato a Foggia il 1941) avrebbe percorso un itinerario artistico coerente con la grande tradizione figurativa italiana - senza per questo evadere dalle tensioni della propria epoca - apparve chiaro fin dagli esordi, nel 1962, quando, dopo aver abbandonato gli studi di violoncello al Conservatorio (ma la musica lo accompagnerà sempre, anche in pittura, sia pure nel simbolismo degli strumenti), si dedicò completamente alla pittura.
Quell' anno, spinto dagli amici, che vincono quella naturale timidezza o meglio pudore che continuerà a caratterizzarlo anche in avanti, tiene la sua prima mostra personale nella città natale.
Con lavori, sottolineò Salvatore Ciccone, mentore di quasi tutti i più interessanti artisti foggiani, "conclusi per sintesi, movimento, pennellata e stilizzazione" e ricchi di penetrazione psicologica, che "tracciano una piccola ma sobria cronaca da inserire nella mai tracciata storia sociale del Mezzogiorno d'Italia". Il successo consacra la validità della sua scelta, ma, come spesso accade, gli fa tenere, come direbbe Ibsen, severo giudizio di se stesso.
Passeranno infatti alcuni anni prima che si ripresenti ai suoi estimatori con un'altra personale. È il 1967. Prima però, nel 1965, ottiene un lusinghiero successo a Napoli, alla Galleria Vanvitelli, invitato alla rassegna "Il nudo nell'Arte", e nel 1966, dopo aver conseguito, sempre a Napoli, l'abilitazione all'insegnamento di pittura e storia dell'arte, inizia la sua attività di docente di disegno dal vero presso l'Istituto Statale d'arte di Foggia. Con la mostra del 1967, presentata dal sottoscritto, Urbano riconferma le tematiche precedenti (Donna del Sud, Bambino meridionale, Contadini, Nudo femminile, ecc.) caricandole però di maggiore drammaticità.
Si disancora dall'ironia dei suoi primi lavori e aderisce maggiormente alla realtà, marcando il segno e arricchendo la sua tavolozza di toni coloristici più caldi e contrastati. È, se vogliamo, la sua personale lettura dei temi del sottosviluppo, dello smascheramento della "menzogna folclorica", dei meccanismi di esclusione/emarginazione della società meridionale che di lì a poco - siamo a ridosso del 1968 - avrebbero portato, anche nel Mezzogiorno, a istanze di maggiore libertà e partecipazione (e anche di ribellismo, come a Reggio Calabria). Nel 1969 espone a Foggia, nella mitica Taverna del Gufo, e a Rodi Garganico. Nel 1971 a S. Benedetto del Tronto. L'esperienza figurativa di Urbano persiste, pur nel radicale imperio, in quegli anni, dell'arte aniconica. Ma già alle tematiche sociali, alla sapiente disposizione delle masse di colore, alla pastosità e plasticità del figurato si accompagnano in misura preponderante l'approfondimento psicologico delle figure femminili e quell'atmosfera di sogno e di raccolta espressione, di erotismo che caratterizzeranno in parte l'esperienza pittorica di Urbano per gli anni successivi. Dico in parte perché, da questo momento in poi, comincia anche l'approccio di Urbano alla "natura morta", assunta sulla tela con una forte carica simbolica che più tardi piacerà a Raffaele De Grada.
Inizia quindi a sperimentare l'interazione, sullo stesso piano, di figure, natura morta e, infine, paesaggio. È una fase in cui appare evidente la predilezione della lezione figurativa del Quattrocento italiano (penso per esempio a Giovanni Bellini), ma Urbano la rivisita con l'evidente scopo di destrutturare l'unità stilistico-narrativa del quadro. Se infatti ricorre spesso a una impaginazione delle figure che oggi chiameremmo, con un linguaggio preso a prestito dal cinema, "piano ameriano", tuttavia non c'è nessuna indulgenza prospettica, e la relazione tra gli oggetti rappresentati è tessuta da campiture geometriche di colore interrotte solo dalla sinuosità dei nudi femminili. Negli anni successivi affina questa impostazione. Presenta i suoi lavori a Udine (1973), Pescara (1974), Milano (1976, Galleria del Naviglio). Nel 1976 espone a Vico Equense. Nel 1977 di nuovo a Foggia con una impegnativa personale al Palazzetto dell'Arte. Il catalogo reca contributi critici di Antonio Miccoli, che evidenzia "l'entroterra pittorico di Ubaldo Urbano .la suggestione per la linea classica quattrocentesca dei volti delle sue figure, tutte femminili"; di Dino Menichini "coerenza e continuità dunque in questa pittura, che caratterizza la stimolante e sperimentata ricerca espressiva dell'artista, che nel grumo serrato e sensuale delle immagini dimostra di possedere intatta una capacità sempre nuova e imprevedibile di trasfigurazione"; di Carmelo Bonifacio Malandrino: "donne che volgono allo spettatore lo sguardo distaccato e disincantato, come per una vissuta delusione, sono riscattate da Urbano nella luce della loro bellezza". Lo stesso Bonifacio dedicherà alla pittura di Urbano una intensa lirica: "Lungo antiche peregrinazioni/ si sfaldano i sentieri/ assordano le cicale. Pure/ tu contempli le estatiche rassegnazioni di giovani donne/ che assaporano l'ansia/ di offerta nell'abbandono dei corpi.". Donne, dunque.
A Davide Grittani che gli chiede in un'intervista perché in ogni suo dipinto predominasse il volto di una donna, Urbano risponde che il suo non è un soffermarsi alla donna, "ma un estendersi all'umanità intera, al genere umano". "Solo così - dice - esprimo l'arte come a me appare. Donna, per l'appunto. Sono i volti umani che dicono le cose che io so".
Urbano ha conosciuto Carmelo Bonifacio a Vico Equense, nel 1976. Ma la stessa mostra viene visitata da Michele Prisco, col quale l'artista foggiano intessa una intesa artistica che porterà lo scrittore napoletano, nel 1989 a firmare il catalogo della nuova personale di Urbano al Palazzetto dell'arte di Foggia. L'arco di un decennio tra l'incontro con Prisco e la personale a Foggia è comunque contrappuntato da altre significative esperienze: Spoleto (1979, collettiva nell'ambito del Festival dei Due Mondi); Bari (Expo Arte, 1981; 1989); Foggia (Palazzetto dell'Arte, 1983). Prisco trova le "donne" e i paesaggi di Urbano emblematici di una certa idea del Sud. Coglie l'ideale collegamento della pittura di Urbano, attraverso la classica compostezza delle figure, alla forza delle radici antropologiche, alla "grecità" del vissuto meridionale. Ma Prisco trova anche che "nonostante la sua affabulatoria leggibilità", quella di Urbano è "una pittura singolarmente misteriosa e carica di suggestioni sino al turbamento". Quella del 1989 è la mostra della piena maturità di Urbano.
C'è un'accensione cromatica, nei suoi lavori, bilanciata dal ritmo controllato delle forme, nudi o oggetti minimali che siano o anche brani d'archeologia. Le atmosfere sono quasi sospese, in una sorta di paesaggio metafisico e che ammicca, così carico com'è di significati simbolici, con l'iterazione quasi ossessiva del mezzobusto muliebre che fa capolino - quasi fuoriscena - in molte rappresentazioni, per osservare, interrogare, invitare il fruitore. Nel '90 è a Bologna, alla Galleria del Quartirolo. Nello stesso anno comincia la sua avventura internazionale, con mostre a Chameliers, New York, Osaka. Nel 1991, altra mostra importante. È quella che gli ha dato più emozioni, come dirà a Grittani nella stessa intervista.
La mostra, un'antologica con oltre cinquanta dipinti, si tiene a Roma, su invito della Famiglia dauna, a Palazzo Barberini. Il catalogo è firmato da Giuseppe De Matteis, che si sofferma anch'egli sulla dominante della pittura di Urbano: la figura femminile. Una figura femminile che il critico vede ricca di "dati singolarmente misteriosi e carichi di suggestione" ed esplicitata da una pittura dove "i colori appaiono più distesi, più disciplinati, più docili". Una pittura, dirà nello stesso periodo Vito Cracas, che si rivela densa di contenuti, con "un linguaggio simbolico di solida impostazione. esemplare nel segno e perfettamente equilibrato anche nella terminologia cromatica". Nel 1992 espone a New York, Budapest e Siviglia (Expo Internazionale). E a Bruxelles, dove fa parte della ristretta schiera di artisti invitati ad illustrare le "emozioni" di Puglia. Seguono alcuni anni di silenzio operoso ("non intendo inflazionare la mia immagine").
Il 1996 torna alla grande. All'Expo Arte di Bari i suoi quadri vengono apprezzati da Vittorio Sgarbi, che l'anno dopo lo gratificherà di un intervento critico nel quale lo studioso chiarisce fino in fondo il senso e il fondamento della pittura di Ubaldo Urbano: "Proviene da una salda coscienza della figurazione italiana di questo secolo, una coscienza che risale senza esitazioni all'esempio di Felice Casorati, alla temperie di Valori Plastici, a tutte quelle esperienze di primo Novecento che hanno cercato di coniugare il concetto di classicismo con quello di modernità".
Nel 2002 la Provincia di Foggia gli organizza una grande retrospettiva per i suoi quarant'anni di attività con catalogo firmato da Gaetano Cristino. Altra importante retrospettiva gli viene organizzata alcuni anni dopo dalla Fondazione Banca del Monte di Foggia, con catalogo prefato da Livia Semerari. Nel 2010 espone a Seattle (USA) e l'anno successivo viene invitato alla Biennale di Venezia, 54° Esposizione internazionale d'arte, Padiglione Italia.
Il resto, è storia da farsi, nella compiuta consapevolezza dell'artista foggiano della validità del proprio lavoro.
a cura di Gaetano Cristino